Cultura e tradizioni

Sentiero nei Monti Aurunci – Foto di Antonio Tedeschi

Parlare di tradizioni di un’area come quella dei Monti Aurunci profondamente eterogenea non è impresa facile. I Comuni che oggi costituiscono il Parco Naturale evidenziano differenze e peculiarità fin nel dialetto che in alcuni casi rivelano una natura isolata dei suoi parlanti.

Accenti, tonalità, lessico che spaziano dall’influenza ciociara e dell’agro romano a quella partenopea, fino a trovare, come nel caso del dialetto pontecorvese, un idioma caratteristico e unico per costruzione lessicale, suoni consonantici e regole grammaticali. In altri comuni come ad esempio Pico il dialetto ha perso la propria identità caratterizzante anche grazie allo sviluppo del paese su un asse viario particolarmente frequentato nei secoli scorsi come la Civita Farnese.

Se gli idiomi locali sono facilmente identificabili per microaree linguistiche è evidente una similitudine per quanto riguarda le musiche popolari e l’uso degli strumenti tradizionali tipici del mondo contadino come la zampogna, la fisarmonica, l’organetto e la ciaramella. Anche le danze tipiche sono, se pur con delle varianti, tutte assimilabili alla ballarella, versione locale della più famosa “tarantella”.

L’aspetto portante di questo territorio è legato ad una particolare forma di “transumanza”, quella religiosa. Sono ancora oggi vivi e sentiti i percorsi devozionali verso luoghi di culto, come il Santuario della Madonna della Civita di Itri o quello della Madonna del Colle di Lenola, per non parlare dei pellegrinaggi in cui si spostava l’immagine del Santo in base alle stagioni e ai periodi della pastorizia.

Non mancano particolari tradizioni autoctone che riguardano particolari culti diventati con il tempo sincretici, così come non mancano figure tradizionali che sono parte integrante dell’immaginario collettivo di un territorio, come il Brigante, il più famoso Michele Pezza detto Fra’ Diavolo di Itri o le donne dedite a forme di stregoneria, dette sul versante ciociaro ciarmatrici e sul versante pontino janare, figure che fanno parte di una locale mitologia tramandata oralmente nelle lunghe notti senza corrente elettrica.

I mestieri

L'intreccio dello strame, antica attività del territorio aurunco, recuperata e valorizzata dal parcoIl territorio dei Monti Aurunci si configura, già nel 1700, come terra di confine sospesa tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio. Questa condizione ha influenzato profondamente lo sviluppo e l’identità di coloro che abitavano queste zone montane e, nello stesso tempo, vicine al mare.

L’economia della zona è sempre stata contraddistinta da una capacità di sussistenza, legata ai latifondi e ai contratti di mezzadria. Coloni e braccianti stagionali erano le figure portanti di questa struttura economica che si è protratta fino ai primi decenni del 1900 e addirittura in casi isolati la mezzadria è sopravvissuta fino agli anni ’70 del secolo scorso. Nei borghi dell’entroterra e, in particolar modo nei paesi montani, le attività principali erano legate alla pastorizia e alla produzione casearia, con una particolare propensione alla stanzialità piuttosto che alla transumanza.

Le coltivazioni principali erano condizionate dalle possibilità del territorio sul quale i popoli stanziati sugli Aurunci hanno lavorato modellando le colline e le coste montane con la difficile creazione dei terrazzamenti, sorretti da muri a secco detti “macere” che per lo più venivano utilizzati per la coltivazione degli ulivi e delle viti.

Il territorio dei Monti Aurunci si contraddistingue soprattutto per la varietà di climi e di paesaggi, nei Comuni come Fondi, Itri e Formia la vicinanza al mare e le aree pianeggianti hanno segnato un percorso economico di maggiore rilievo volto alla pastorizia e all’agricoltura intensive, ma anche alla pesca, dando vita a mestieri coordinati come il tessitore di reti da pesca.
Nei Comuni dell’entroterra si sono sviluppate altre capacità, ad Ausonia si è affermata l’attività estrattiva delle cave di marmo di Coreno come è ben rappresentato dal Museo della Pietra, mentre a Pontecorvo la coltivazione del tabacco ha dato vita ad una economia florida che ha visto una sorta di industrializzazione ante-litteram dell’attività agraria. La profonda influenza sui costumi e sui mestieri che la coltivazione del tabacco ha avuto sul territorio pontecorvese è testimoniata nelle sale del Museo del Tabacco.

Un discorso a parte merita l’artigianato locale, un aspetto caratteristico della vita dei borghi dell’entroterra, con figure entrate nell’immaginario tradizionale come il fabbro, il ciabattino, le ricamatrici e le merlettaie, i vetrai e i falegnami, e soprattutto “gli strammari” uomini e donne che lavoravano insieme alla realizzazione di manufatti di uso comune utilizzando l’ampelodesma, nei dialetti locali chiamata “stramma”, mestiere recuperato e valorizzato dal Parco dei Monti Aurunci.
Tra i mestieri scomparsi, quello dei “cannatari” pontecorvesi, artigiani che lavoravano la terracotta per farne anfore dette “cannate” e vasi, utensili di uso domestico e pignatte per la cottura dei cibi. Un intreccio di sapienze e abilità diverse influenzate dal territorio e dalle possibilità che esso offriva.

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